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U2, la migliore rock band del pianeta

di Roberto Vanazzi 1 aprile 2011
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La storia comincia un giorno di settembre del 1976, quando il quattordicenne Larry Mullen, batterista alle prime armi, ha appeso nella bacheca della Mount Temple Compehensive High School di Dublino un annuncio in cui richiedeva qualcuno disposto a creare una band. Gli hanno risposto in quattro: Paul Hewson, Adam Clayton e i fratelli David e Dick Evans. Quest’ultimo ha lasciato perdere quasi subito (lo ritroveremo più tardi alla guida dei Virgin Prunes), mentre gli altri hanno provato e riprovato per mesi, stimolati dal punk, soprattutto dai  Joy Division, e influenzati da vecchi classici quali Rolling Stones e Thin Lizzy. Lentamente il gruppo ha assunto una propria identità, con il nome che cambiava con il progredire del repertorio: Larry Mullen Band, Bono Hewson Band, Feedback, The Hype e, infine, U2.

Le prime esibizioni della band sono state un disastro, ma nel 1978 i quattro hanno sistemato i meccanismi e si sono aggiudicati un concorso per nuovi gruppi rock a Limerick, sponsorizzato dalla Guinness. Tra i membri della giuria era presente un elemento della CBS, il quale ne ha compreso il talento e ha proposto loro un contratto, prontamente rifiutato a causa dei troppi vincoli. La casa discografica non si è data per vinta, ha limitato l’accordo e gli U2 sono stati scritturati per registrare un EP e un 45 giri. Così. tra il dicembre del 1979 e il febbraio del 1980, hanno visto la luce l’EP contenente Out Of Control, Stories For Boys e Boy-Girl e il singolo Another Day/Twilight. Le poche copie sono andate letteralmente a ruba, ma nonostante ciò la CBS si è disinteressata agli U2 e li ha scaricati.

Ciò che poteva sembrare la fine di un sogno è invece coincisa con l’inizio di un’avventura incredibile. Gli U2, infatti, hanno incontrato proprio allora il manager Paul McGuinness, il quale è diventato il loro pigmalione. Grazie a lui la band ha strappato un contratto con l’Island Records e tale collaborazione ha portato nella primavera del 1980 al singolo 11 O’Clock Tick Tock/Touch.

A quel punto l’uscita del primo LP era solo questione di tempo e a ottobre è arrivato Boy. Il disco è caratterizzato da un’intensa energia emotiva, anche se la tecnica risente della poca esperienza ed è ancora un po’ grezza. Prende comunque già forma quello che sarà l’inconfondibile stile del gruppo negli anni a venire, mentre i testi sono incentrati sul tema dell’infanzia perduta e di quello che implica diventare adulto. Un esempio è l’ottima opening track I Will Follow, che parla dell’amore della madre verso il proprio figlio, che non vorrebbe mai vedere crescere (“un ragazzo prova fortemente a essere un uomo. Sua madre lo tiene per mano, se smette di pensare comincia a piangere”). Stesso discorso per Twilight (“Il mio corpo cresce sempre più. Mi spaventa, lo sai?”), Out Of Control, Stories For Boys, Shadow And Tall Trees e per la stupenda The Electric Co.


Nonostante il successo ottenuto sia dal disco sia dal tour europeo, che ha fatto conoscere gli U2 anche al di fuori dall’Isola di Smeraldo, il gruppo ancora non aveva intrapreso la via del professionismo musicale, vivendo in una sorta di precariato per il timore di bruciarsi troppo in fretta. Anche per questo il secondo album, October, non è ancora il lavoro della completa maturità. Esso è pesantemente condizionato dall’esperienza religiosa di Bono, The Edge e Larry, tutti cattolici, un fatto questo che ha creato contrasti con il protestante Adam Clayton. Per quanto riguarda il sound, esso ha qui iniziato a perdere le spigolosità degli esordi, acquistando leggerezza e intensità, rimarcate dalla voce di Paul “Bono” Hewson e dalla graffiante chitarra di David “The Edge” Evans. I pezzi più belli sono la delicata title track, dove la voce di Bono è accompagnata dal piano, Gloria, che in questo caso non indica il nome di una donna ma è il giubilo a Dio (“Gloria In Te Domine. Gloria Exultate”), Scarlet, con il suo unico urlo “Gioisci, Gioisci, Gioisci”, I Fall Down e Fire.  Suoni e atmosfere d’Irlanda si trovano in Tomorrow, brano che parla del funerale della madre di Bono, morta quando lui aveva 14 anni (“Io voglio che tu torni domani. Ritornerai domani?”).

Introducendo la canzone Surrender durante un concerto a Newcastle, Bono ha dichiarato: “Abbiamo fatto un nuovo disco che s’intitola War, il tema però non è la guerra, ma la resa.”. Con War, datato 1983, gli U2 hanno finalmente sviluppato un disco incisivo, che ha definito una volta per tutte lo stile dei quattro dubliners, e regalato canzoni memorabili. Su tutte Sunday Bloody Sunday, che racconta della strage compiuta dai soldati inglesi a Derry il 30 gennaio 1972, quando hanno ucciso 14 persone durante una manifestazione (“per quanto dovremo cantare questa canzone?”), e New Year’s Day, che parla di speranza ed è dedicata al sindacato polacco Solidarnosc. Quindi Refugees, forte critica a oppressioni e dittature (“lei è una profuga, sua mamma dice che un giorno riuscirà a vivere in America”), Seconds, dove si descrive la paura per una terza guerra mondiale, con la prima strofa cantata da The Edge (“Ci vuole un secondo per dire addio. Spingere il bottone e tirare via la spina. Di addio”) e lo spirituale Salmo 40. La voce di Bono, la chitarra di Edge, la ritmica di Clayton e Mullen hanno generato un sound appassionante, tagliente e crudo.

Lo stesso semplice rock, fatto di fuoco e sudore, si trova nel live Under A Blood Red Sky, registrato nel corso del tour del 1983 in Europa e negli Stati Uniti.

Gli U2 si stavano avvicinando passo dopo passo alla notorietà, e nel 1985 hanno compiuto il balzo definitivo grazie al geniale Unforgettable Fire. La scelta di Brian Eno in veste di produttore e consulente artistico è stata certamente azzeccata. L’ex cervello dei Roxy Music, insieme al tecnico del suono Daniel Lanois, ha insegnato ai quattro ragazzi di Dublino un modo nuovo di esprimere la musica in termini di suono, dotando di una patina di raffinatezza l’intenso rock della band. Fin dalle note iniziali dell’opening track A Sort Of Homecoming il disco si rivela un punto di riferimento per le nuove generazioni, segno di un’inversione di tendenza rispetto al pop leggero e plastificato in voga in quel periodo, un lavoro ricco d’impegno e di esperimenti. I brani parlano della vita interiore di Bono e compagni, ma guardano anche orizzonti lontani come il pacifismo di Martin Luther King, onorato nella delicata ninna nanna MLK (“dormi, dormi stanotte e che possano avverarsi i tuoi sogni”) e nella famosa Pride (In The Name Of Love).  La guerra e la morte sono invece descritte nella title track, dove “il fuoco indimenticabile” è quello della bomba atomica di Hiroshima. Quindi, per la prima volta, gli U2 hanno compiuto un salto nella cultura americana con brani quali la strumentale 4th Of July e Elvis Presley And America. E non dimentichiamoci di una delle canzoni più belle dell’intero repertorio U2, l’intensa Bad, che parla della dipendenza dall’eroina..


Grazie a Unforgettable Fire, al lungo tour che ne è seguito e alla partecipazione a numerosi eventi benefici, come ad esempio il Live Aid nel luglio del 1985, il Conspiracy Hope e il Self Aid, il gruppo irlandese si è portato in prima fila nell’ambito della musica rock mondiale. Con il passare del tempo poi, la coscienza sociale e le prese di posizione politiche hanno aumentato d’intensità, diventando parte integrante dell’immagine degli U2. Anche da un punto di vista musicale qualche cosa stava cambiando. Le riscoperte delle radici rock e blues, ad esempio, hanno caratterizzato il sound di quel periodo. Una dimostrazione di questo è Silver And Gold, brano scritto da Bono per la raccolta anti apartheid Sun City, impregnato di blues e ben lontano dai canoni standard del gruppo. Poco più tardi al Self Aid, concerto a favore dei disoccupati irlandesi, gli U2 hanno stupito tutti suonando Maggie’s Farm di Bob Dylan e C’Mon Everybody di Eddie Cochran.

Sempre nel 1985 è uscito l’EP Wide Awake In America, contenente due brani live (Bad e A Sort Of Homecoming) e due inediti (The Three Sunrises e Love Comes Tumbling)

Due anni più tardi gli U2 sono entrati di prepotenza tra gli immortali del rock con The Joshua Tree, un lavoro di grande spessore e ricchezza creativa, un ritratto dell’America di allora che presenta testi impegnati sia da un punto di vista religioso sia nell’ambito del sociale. Il disco si apre nello stile classico della band, ben udibile nella prima triade di brani: Where The Streets Have No Name, I Still Haven’t Found What I’m Lookin’ For, che parla di quanto sia difficile mantenere la fede in Dio, (“lo sai che ci credo, ma ancora non ho trovato ciò che stò cercando“) e nella famosa ballad With Or Without You. In esso, però, si avvertono anche i tratti di quella riscoperta musicale di cui si è scritto sopra, come in Bullet The Blue Sky, un rock indemoniato che ricorda molto Jimi Hendrix e che descrive la rabbia verso la politica estera americana nei confronti dei paesi sudamericani (“e posso vedere gli aerei da guerra sopra le baracche di fango, mentre i bambini dormono”), e in Trip Through Your Wires, brano con un’inflessione alla Dylan. Tutta la track list è permeata di magia: Running To Stand Still parla di droga (“lei patirà il gelo dell’ago. Lei sta correndo per restare ferma”). Mother Of The Disappeared è dedicata ai prigionieri politici in Argentina, mentre One Tree Hill è un personale omaggio al roadie Greg Carroll, morto in un incidente pochi mesi prima. Red Hill Mining Town, invece, descrive l’angoscia dei minatori a causa della chiusura delle miniere voluta dalla Thatcher.

La storia degli U2 continua con U2, per sempre nella storia del rock

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