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Bruce Springsteen: nato per correre

di Roberto Vanazzi 7 giugno 2011
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Abbiamo imparato più da un disco di tre minuti che da quello che ci hanno insegnato a scuola.”(Bruce Springsteen –  Never Surrender)

Definire Bruce Springsteen un’icona del rock è a dir poco riduttivo; egli, infatti, è il monumento a tutto quello che la musica è e può essere. In quarant’anni il Boss ha scritto una miriade di canzoni stupende, inciso album da leggenda, regalato emozioni a non finire sui palchi di tutto il mondo e, fatto da non sottovalutare, ha mantenuto a galla la tradizione americana. Musicalmente parlando Bruce non ha creato nulla, ma avuto la capacità di prendere il rock dalle radici e riportarlo a vita nuova, unendo l’energia di Presley alla poesia di Dylan. I personaggi delle sue canzoni fanno parte della working class: gente povera, perdente, disillusa. Operai, cameriere, cassiere, ex militari, ragazzi innamorati, cercano di sopravvivere in città depresse, come la “Dead Man’s Town” di Born In The U.S.A. La grande protagonista dei testi di Springsteen, però, è sempre stata l’America, quella vera, legata al periodo storico del momento: il post Vietnam e il Watergate degli anni’70, Reagan e la crisi economica negli anni ’80, la guerra del Golfo nei ’90 e, nel 2000, la tragedia delle Torri Gemelle e Obama.

Bruce Frederick Springsteen è nato il 23 settembre del 1949 a Freehold, nel New Jersey, da una famiglia povera di origini irlandesi e italiane (la madre di cognome faceva Zirilli). Ancora bambino ha scoperto il rock in televisione vedendo Presley esibirsi all’Ed Sullivan Show, mentre a quattordici anni ha imparato i primi accordi su una chitarra comperata usata per diciotto dollari. Tutto quello che passava per la radio a metà degli anni ’60, i classici del Rock’N’Roll, il nuovo beat inglese, gli artisti della Motown, i Byrds, Bob Dylan, i folksingers hanno formato il background musicale di uno dei più importanti artisti rock di tutti i tempi.

Il primo gruppo in cui ha suonato Bruce si chiamava Castiles; siamo nel 1965 e la sua esperienza è durata un paio di anni, durante i quali si è guadagnato una buona fama a livello locale. Nell’estate del 1967, terminata la scuola, il giovane chitarrista ha cominciato a frequentare Asbury Park e club come l’Upstage, ritrovo dei musicisti della zona, dove si è esibito con gli Earth e con i Child. Questi ultimi, grazie ad un rock tirato e ricco di assoli, sono diventati famosi in tutto lo stato del New Jersey con la denominazione di Steel Mill e nel 1970 sono “emigrati” in California, dove hanno ottenuto buoni consensi. L’anno seguente il gruppo non esisteva più e i suoi membri, il tastierista Danny Federici, il batterista Vini “Mad Dog” Lopez, il bassista/chitarrista Steve Van Zandt, noto come Little Steven, e naturalmente Springsteen, hanno formato i Dr. Zoom And The Atomic Boom. L’idea, però, era quella di creare un gruppo che conteneva anche i fiati e delle coriste, così, dopo sei mesi, è stata allestita la Bruce Springsteen Band dove, oltre agli elementi di cui sopra, facevano parte anche il pianista David Sancious, il saxofonista Clarence “Big Man” Clemons, il bassista Gary Talent e tre coriste. Di li a poco, però, la band si è sciolta e Bruce ha iniziato ad esibirsi da solo nei locali del Village.

A quel punto Springsteen ha firmato un contratto svantaggioso con la Laurel Canyon Productions di Mike Appel e Jim Cretecos, i quali l’hanno messo in contato con John Hammond della Columbia Records. Quest’ultimo, colpito dal talento del ragazzo, ha organizzato un’audizione il 2 maggio al Gaslight per i dirigenti della casa discografica. Lo stesso mese la Columbia ha messo sotto contratto il ragazzo: la Laurel Canyon in royalties avrebbe incassato il triplo del cantante stesso.
Nel 1972 sono iniziate le registrazioni per un album e Bruce ha chiamato a se gli elementi della band: era nata la E Street Band. Nei primi giorni del 1973 è uscito Greetings From Asbury Park, N.J., primo LP di Springsteen. Pur essendo interessante, grazie a classici quali Blinded By The Light, It’s Hard To Be A Saint In The City, Spirit In The Night, brano in cui esordisce il sax di Clemons e dove Springsteen racconta la sua prima esperienza sessuale sul lago Greasy con Crazy Janey, Lost In The Flood e la stupenda Growin’ Up, il disco non ha venduto molto. La causa è da ricercarsi in un errore della Columbia, la quale era convinta di avere trovato il nuovo Dylan e faceva pressione per un lavoro folk. Tutti, infatti, avevano sentito i brani solo in versione acustica e alla fine, si sono trovati spiazzati di fronte al rock creato da Springsteen, Clemons, Lopez, Tallent e Sancious. Le discussioni non hanno certo giovato al risultato finale. Dal vivo poi, Bruce era ancora lontano dagli shows infuocati che lo avrebbero reso una leggenda e, buttato letteralmente sul palco come spalla dei Chicago, sconosciuto e disorientato, ha effettuato una tournée disastrosa.


La pubblicazione alla fine dell’anno di The Wild, The Innocent & The E Street Shuffle ha mostrato un notevole salto di qualità. Un maggior controllo da parte di Springsteen sul suono da realizzare, un gruppo più affiatato, gli stessi di prima più Danny Federici, e una produzione finalmente convincente, hanno portato in auge alcune tra le migliori canzoni del ragazzo di Freehold. Su tutte Rosalita, un capolavoro che narra la vicenda, forse un po’ autobiografica, di una ragazza chiusa nella sua stanza perché i genitori disapprovano la relazione con un cantante rock, e che finisce con i due che fuggono in automobile. Rosalita è incastonata tra due delle più belle ballate mai scritte da Springsteen, Incident On Fifty-Seven Street, che affronta il tema della redenzione, e New York City Serenade. Quest’ultima è dotata di una lunga intro di pianoforte d’impronta jazzistica, di una sontuosa orchestrazione e presenta numerosi cambi di ritmo. Ma ci sono anche 4th July Asbury Park, dove il protagonista dichiara il suo amore a Sandy durante il giorno dell’indipendenza americana, Kitty’s Back e l’iniziale The E Street Shuffle a dare vita ad un lavoro vario, affascinante e vivace. Le liriche intense proseguono sulla strada, già intrapresa con il primo disco, della poesia urbana e visionaria. Nonostante le critiche positive il disco ha avuto purtroppo uno scarso riscontro commerciale, e solo due anni di concerti sono riusciti a fare lievitare le azioni del gruppo. Con Ernest “Boom” Carter al posto del dimissionario Lopez, e l’intera serata a disposizione, gli energici e coinvolgenti spettacoli di Springsteen hanno cominciato a prendere sempre più quota.

Nel maggio del 1974 il giornalista Jon Landau, dopo avere assistito a un concerto della E Street Band, ha scritto sul Real Paper la frase diventata ormai storica: “Ho visto il futuro del Rock’n’Roll, il suo nome è Bruce Springsteen.” La Columbia ha battuto il territorio con una nuova campagna pubblicitaria e prima della fine dell’anno The Wild, The Innocent & The E Street Shuffle ha toccato le 150000 copie vendute. Nel frattempo la band stava cambiando fisionomia. Fuori Sancious e Carter, dentro Roy Bittan e Max Weinberg, i quali hanno conferito al gruppo una maggiore professionalità.

Il 1975 è l’anno del definitivo ingresso nell’olimpo di Bruce Springsteen. In agosto, infatti, è approdato nei negozi Born To Run, il quale ha ottenuto subito uno strepitoso successo. L’album, prodotto da Jon Landau e dallo stesso Bruce, ha evidenziato qualche cambiamento nel sound che è diventato più massiccio e, ruotando attorno al sassofono di Clemons e al piano di Bittan, conferisce ai brani una dimensione quasi epica. Il Boss ha scritto canzoni di notevole forza melodrammatica e la sua interpretazione è carica di grinta e di enfasi allo stesso tempo. Il risultato è a dir poco notevole: Born To Run, incentrata sul sogno di fuga di due ragazzi di provincia, Backstreet, Thunder Road, Tenth Avenue Freeze Out, She’s The One, Night, la delicata Meeting Across The River, che ospita la tromba del jazzista Michael Brecker, e Jungleland, mini suite dotata di uno dei migliori assolo di sax di tutti i tempi, sono entrate di prepotenza nella storia del rock. Senza più i Beatles, con un Dylan in preda a crisi mistiche e il mondo ammorbidito dal progressive (in Europa) e dalla west coast music (in America), Springsteen si è trovato al posto giusto nel momento giusto e ha riportato in auge il vecchio rock. In breve tempo Born To Run è diventato Disco D’Oro e riviste quali Time e Newsweek hanno dedicato le loro copertine al fenomenale ragazzo del New Jersey. La sua E Street band, rinforzata dal ritorno di Van Zandt, ha intrapreso allora un tour che ha coperto tutti gli States e ha toccato pure l’Europa.


L’anno seguente è sorto un contrasto tra Bruce e Mike Appel: per la prima volta il cantante si era reso conto dei reali termini del contratto che lo vincolava alla Laurel Canyon. Inoltre Appel voleva impedire a Landau la produzione del disco seguente, così la rottura dei due è stata completa. A quel punto, però, si era perso un anno e mezzo tra avvocati e tribunali, durante i quali Springsteen non ha potuto mettere piede negli studi di registrazione. La controversia si è risolta solo a metà del 1977 con un accordo tra le due parti: una cospicua somma al manager e la libertà per il Boss. In quei momenti Bruce ha comunque scritto parecchio materiale, tra cui anche quella Because The Night poi regalata a Patti Smith. Il disco che sarebbe dovuto uscire allora, The Promise, è però rimasto chiuso in un cassetto e sarà riesumato soltanto nel 2010. Ne parleremo più avanti.

L’album che è stato invece rilasciato s’intitola Darkness On The Edge Of Town. Il perfezionismo di Springsteen e le sue indecisioni sui brani da inserire nel vinile hanno fatto si che il nuovo disco uscisse solo nel 1978. Si tratta di un lavoro serio, più intimista rispetto al predecessore, di certo meno ostentato. I brani che lo compongono, tutti molto belli, si sono da subito aggiunti alla lunga lista dei classici del Boss: l‘esaltante Badlands, Candy’s Room, dove Candy  è una prostituta, Street Of Fire, Prove It All night, la lenta Racing In The Street, Adam Raised a Cain, uno dei pezzi più rabbiosi dell’intera carriera di Springsteen, Factory, che racconta la fatica del lavoro in fabbrica, e la ballata Darkness On The Edge Of Town.

La seconda metà del 1978 è stata occupata da un tour gigantesco, che ha portato il Boss ha effettuare più di cento concerti, ognuno dei quali era capace di durare da 3 a 4 ore, con brani ampliati a dismisura, spesso improvvisati, cover e canzoni che poi non sono mai finite su alcun album. È di quel periodo la nascita dei bootlegs tratti da quegli shows, che alla fine sono diventati una vera e propria fonte di ricerca da parte dei fans. Pièce De Resistance, dove si ascolta l’esibizione di Bruce al Capitol Theatre di Passaic, è considerato il disco pirata più famoso della storia.

Con il nuovo anno Bruce ha iniziato a lavorare in studio a un nuovo lavoro. La sua musica, in quel periodo, stava assumendo un aspetto più moderno, con gli spazi tra chitarra e pianoforte diminuiti per lasciare il posto a un sound più semplice e immediato, e con anche qualche innesto elettronico, come si addiceva al nuovo decennio che stava cominciando. Nel 1980, dopo tanti rinvii, è uscito The River, un doppio vinile che, attraverso venti canzoni, ripercorre l’itinerario stilistico di Springsteen, dal rock fastoso e immediato di Hungry Heart e Sherry Darling a pezzi di più ampio respiro come Point Blank, Drive All Night e The Indipendence Day (che doveva fare parte della track list di Darkness, ma poi gli è stata preferita Factory), passando attraverso il rock puro di I’m A Rocker e Cadillach Ranch e ballate intimistiche quali la stupenda title track (dedicata alla sorella Virginia), I Wanna Marry You e Wreck On The Highway. The River è stato ben accolto sia dalla critica sia dai fans e per la prima volta il Boss ha raggiunto il primo posto in classifica. Il relativo tour ha portato Bruce in tutti gli USA, in Europa, in Australia e anche in Giappone.

Al rientro in patria i vari elementi della E Street Band hanno intrapreso qualche progetto solista. Rimasto solo, il Boss si è chiuso in casa con una chitarra acustica e un registratore a quattro piste e ha inciso un nastro di provini. Dopo numerosi tentativi per dare una forma elettrica ai brani, il Boss ha deciso di pubblicarli così com’erano. È nato in quel modo Nebraska, l’album che ha riavvicinato l’artista alle radici del folk americano, con pezzi suggestivi e poetici influenzati da Woody Guthrie. E sono proprio le liriche a conferire a Nebraska un’importanza più letteraria che musicale. La capacità di Bruce di scrivere testi è qui finalmente esplosa in tutta la sua maturità, con brani che si scontrano con i drammi privi di un lieto fine della vita reale. Su tutti spiccano Atlantic City, Johnny 99, che narra la storia di un condannato all’ergastolo, Highway Patrolman, canzone sulla famiglia, Used Cars, che parla dell’infanzia di Bruce ed è un ricordo del padre, e Nebraska. Quest’ultima racconta la storia, vera, di una coppia che nel 1958 ha ucciso dieci persone, vagabondando per otto giorni nel Nebraska e nel Wyoming, prima di essere catturati.Nonostante lo stile particolare, le vendite sono state superiori alle attese e il lavoro è entrato nella top 10, preparando così la strada per il successo planetario di Bruce Springsteen.

Anticipato dal singolo Dancing In The Dark, nel 1984 è deflagrato come una vera  e propria bomba, in contemporanea mondiale il 4 giugno, Born In The U.S.A. Grazie ad un rock trascinante, orecchiabile e compatto, l’album ha riscontrato un successo senza precedenti, rimanendo ai vertici delle classifiche per un anno intero e vendendo più di trenta milioni di copie. I ritmi semplificati e qualche tocco di sintetizzatore hanno dato vita a altre pietre miliari della musica rock: Born In The U.S.A, dove un reduce torna dal Vietnam per scoprire che l’America lo ha lasciato solo, Cover Me (inizialmente scritta per Donna Summer, ma che poi Bruce ha deciso di tenere per se), I’m On Fire, I’m Going Down, Glory Days, No Surrender, la ballata My Hometown, dedicata a Freehold, la rockabilly Working On The Highway, dove un ragazzo che tiene la bandiera rossa dei lavori in corso sulla Statale 95 sogna una vita migliore, ma poi finisce in carcere per essere fuggito con la fidanzata minorenne, Bobby Jean, commosso saluto a Van Zandt, e la già citata Dancing In The Dark.
Il tour mondiale che ne è seguito è stato interminabile: centocinquantasei date in sessantasei città per un totale di quattro milioni di spettatori. Il tour ha toccato anche Milano, dove il Boss si è esibito allo stadio Meazza. Nella E Street Band erano nel frattempo entrati la corista Patti Scialfa e Nils Lofgren, quest’ultimo a sostituire il dimissionario Little Steven.


Nel 1985 Springsteen, sempre sensibile alle iniziative di carattere benefico, ha partecipto al progetto USA For Africa, contribuendo con l’inedita Trapped, cover di Jimmy Cliff, e al progetto contro l’apartheid di Van Zandt, comparendo nel brano Sun City. Oltre a questo, alla fine dell’anno ha firmato un appello contro la chiusura di una fabbrica nella sua Freehold, prendendo parte a uno spettacolo in favore degli operai disoccupati. My Hometown è diventata l’inno di questa protesta.

Il 1986 ha salutato il monumentale album dal vivo Live/ 1975-85, un disco quintuplo che riassume dieci anni di attività on stage. L’LP, preceduto dal singolo War, è uscito a novembre ed è entrato direttamente al primo posto delle classifiche.

Un anno dopo è arrivato Tunnel Of Love, lavoro meno esuberante del predecessore. I brani, che hanno come comune denominatore il tema della morte e la paura, sono più riflessivi e cupi, dai toni morbidi e lontani dallo scatenato rock di Born In The U.S.A. A innescare il tutto è stato, soprattutto, il divorzio dalla prima moglie, la modella Julianne Phillips, raccontato nella title track. Seguono la commerciale Brilliant Disguise, Thougher Than The Rest, la triste ballata One Step Up, dove il tema è ancora la separazione, l’altrettanto malinconica Walk Like A Man, dedicata al padre, e la stupenda Cautios Man, probabilmente la canzone più ispirata del disco. Quindi Spare Parts e Valentine’s Day, dov’è raccontato un viaggio in auto, ma non una fuga, come in molti brani del Boss, bensì un ritorno a casa.

A maggio è uscito l’EP Chimes Of Freedom, contenente quattro brani tra cui l’omonima canzone di Dylan in versione live, composto per Amnesty International, e a settembre, sempre per Amnesty,  il Boss, insieme a altre star della musica, ha preso parte allo “Human Rights! Now”, il concerto di che ha toccato venti città in tutto il pianeta.

Il 1989 è l’anno da dimenticare per il Boss: prima il divorzio e poi lo scioglimento della E Street Band. L’assenza dalla sala d’incisione è diventata a quel punto lunga e, un po’ per le aspettative dovute all’attesa e un po’ per l’assenza della sua band (tranne Bittan), quando nel 1992 sono usciti contemporaneamente Human Touch sia Lucky Town la delusione è stata tanta. Non si può dire che i dischi siano brutti, ma manca quella magia che aveva sino a quel momento accompagnato le uscite discografiche di Springsteen. La E Street Band è qui sostituita da session man, eccezionali fin che si vuole (basti pensare a Jeff Porcaro dei Toto e a Randy Jackson), ma lontani dalla coesione creata da Clemons e soci. Nonostante questo, entrambi i lavori si sono piazzati rispettivamente al secondo e al terzo posto delle classifiche.

Human Touch presenta brani più radiofonici. 57 Channels (And Nothing On) ha un arrangiamento scarno, dominato da un basso ossessivo, sul quale la voce del Boss racconta la propria vita hollywoodiana. With Every Wish è una stupenda ballata impreziosita dalla tromba di Mark Isham. La title track, Man’s Job, Soul Driver, Cross My heart, Real World, la romantica I Wish I Were Blind, dove il protagonista è innamorato di una donna già impegnata, sino a Pony Boy, filastrocca tradizionale  che Bruce ha voluto dedicare al figlio Evan appena nato, sono tutti brani piacevoli, troppo spesso sottovalutati.

Lucky Town, invece, ha in Better Days il suo pezzo forte. Il brano narra la storia di un uomo che ritrova la serenità dopo un momento difficile, probabilmente una nota autobiografica a indicare la felicità di una nuova relazione con la corista Patti Scialfa, con la quale si è sposato l’8 giugno del 1991. La ballad If I Should Fall Behind è una dichiarazione d’amore, che dal vivo è cantata un pezzo per uno dai componenti della E Street Band. Living Proof è stato il primo brano di Lucky Town a essere inciso e  parla della forza che ci vuole per formare una famiglia. A detta di Bruce, il protagonista è lo stesso di Born To Run, ma molte miglia dopo. Bellissime anche la rabbiosa Lucky Town, Souls Of The Departed e Local Hero, canzone questa che si avvicina al country rock.

Bruce e Patti Scialfa

L’anno seguente è stato rilasciato il CD dal vivo In Concert At MTV Plugged, nato da una registrazione nel programma di MTV chiamato Unplugged, dove però il Boss ci tiene a precisare che la sua non è un’esibizione acustica, da cui la dicitura nel titolo Plugged, tant’è che un brano già di per se acustico qual’è Atlantic City, è qui presentato in veste elettrica.

La storia del Boss continua in Bruce Springsteen: passato, presente e futuro del rock

 

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