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I Beach Boys, gli incredibili ragazzi del surf – Parte I

di Roberto Vanazzi 27 settembre 2012
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Ogni estate ha i propri tormentoni musicali: un paio d’anni fa c’è stato Waka-Waka di Shakira, quest’anno è il turno di Gustavo Lima e Michel Telo. Ma tra una Balada Boa e un Tacatà non è raro che il DJ di turno inserisca pezzi come Surfin’ USA e Barbara Ann. E queste canzoni “anzianotte” non sfigurano per niente in mezzo a quelle di oggi. Anzi, se proprio devo dirla tutta, dopo 50 anni le canzoni dei Beach Boys si ascoltano ancora volentieri; non sono sicuro che per i tormentoni attuali il futuro riserverà la stessa sorte.

GLI INIZI

Nel 1961, nella cittadina di Hawthorne, in California, i fratelli Brian, Dennis e Carl Wilson, insieme al cugino Mike Love e all’amico Al Jardine, hanno formato una band chiamata Pendletones (dal nome delle camicie a righe adottate dai surfisti), che in seguito la casa discografica per cui avevano fatto un provino, la Candix, ha cambiato in Beach Boys. Abili singer, dotati di limpide armonie vocali, hanno avuto la brillante idea di dedicare un brano all’allora dilagante moda del surf. La canzone Surfin’, uscita nel dicembre 1961, è stata una mossa vincente.

Murry Wilson, padre dei tre fratelli, nonché primo manager della band, li ha incoraggiati a proseguire su quella strada ed è riuscito a strappare un ingaggio con la Capitol Records. Con questa etichetta i Beach Boys hanno fatto strage nelle classifiche dei primi anni ’60, mantenendo sempre intatto il loro stile prettamente vocale e la filosofia basata sul divertimento giovanile e le avventure romantiche.

Il primo album, Surfin’ Safari, ha raggiunto la posizione numero 32 della classifica americana, rimanendovi per 37 settimane. Oltre alla title track e alla già citata Surfin’, il disco contiene altri brani famosi come 409, Ten Little Indians e la più romantica Little Girl (You’re My Miss America). Da segnalare anche la cover di Eddie Cochran Summertime Blues.

Sono quindi seguiti una serie incredibile di album, tutti incisi tra il 1963 e il 1965 (Surfin’ USA, Surfer Girl, Little Deuce Coupe, Shut Down vol.2, All Summer Long, Today, Summer Days e Beach Boys Party) contenenti brani tutti ispirati alle spiagge, all’estate, alla California e alle ragazze, che hanno imposto in poco tempo il quintetto all’attenzione del pubblico e delle classifiche internazionali. Le hit più celebri sono: Surfin’ Safari, Surfin’ USA, Fun Fun Fun, I Get Around, la ballata Surfer Girl, California Girls, Do You Wanna Dance, Barbara Ann, Don’t Worry Babe e Little Honda.

È di questo periodo anche il primo live della band, Beach Boys In Concert, registrato durante un concerto a Sacramento. Il disco ha portato i ragazzi al primo posto delle chart americane. Dopo questo picco, però, l’ascesa del gruppo ha subito una battuta d’arresto a causa dell’esplosione sulla scena internazionale di quattro ragazzi di Liverpool chiamati Beatles e del loro sound innovativo.

CAMBIO DI STILE

Nel 1965 Brian Wilson ha sofferto di un grave esaurimento nervoso e ha deciso di non partecipare più ai tour, sostituito prima da Glen Campbell e poi da Bruce Johnston. Brian però, non ha mai lasciato il gruppo e si è concentrato sulla composizione e sulle prove in sala di registrazione. Primo frutto di questo lavoro è stato Pet Sound, datato 1966, non più raccolta di singoli, ma un LP vero e proprio. Considerato da tutti l’opera omnia dei Beach Boys, nonché uno dei migliori album della musica pop, Pet Sound è stata la risposta americana a Rubber Soul dei Beatles.

Il disco contiene brani divenuti ormai celebri, come Would It Be Nice, Sloop John B. e God Only Knows, molto più maturi e complessi rispetto ai lavori precedenti e fortemente influenzati dal quartetto di Liverpool. Molto belle sono anche la delicata You Still Believe In Me, I’m Waiting For The Day e la triste Caroline No. Al LP è seguito uno dei migliori singoli della band, Good Vibrations, scritto durante le prove di Pet Sound.

Il genio di Brian, però, non sempre era visto bene dai compagni, spesso scettici sul potenziale commerciale delle nuove composizioni. Questa è stata una delle cause per cui i nastri di Smile, con canzoni basate sui testi di Van Dyke Parks, che avrebbero dovuto suggellare il genio dei rinnovati Beach Boys, sono stati accantonati. Al suo posto ecco lo scialbo Smiley Smile. La musica è diventata qui più raffinata e vi trovano spazio anche strumenti insoliti, come il clavicembalo, e sperimentazioni elettroniche. Tra i brani da segnalare I Was Made To Love Her, cover di Stevie Wonder, Heroes & Villans, pezzo con struttura a cappella che avrebbe dovuto essere il cardine di Smile, e la già nota Good Vibrations.

 

Leggi la seconda parte della storia dei Beach Boys  >>

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