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La grinta sensuale dei Blondie! E il punk è entrato in discoteca.

di Roberto Vanazzi 9 agosto 2010
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I Blondie sono nati a New York nel 1973 dall’incontro artistico e sentimentale fra la bionda Deborah Harry, ex pine-up di Play Boy ed ex cantante del gruppo folk The Wind In The Willows, e il chitarrista Chris Stein. I due hanno formato gli Stilettos, con una formazione che, oltre ai leader, vedeva tra le proprie file il batterista Billy O’Connor, il bassista Fred Smith e il chitarrista Ivan Kral. Di lì a poco Smith se ne è andato per unirsi a Patty Smith, mentre Kral è entrato nei Television.

Dopo avere sistemato la formazione con il tastierista Jimmy Destri, il batterista Clem Burke e il bassista Gary Valentine, nel 1976, con il nuovo nome di Blondie, il quintetto ha registrato l’omonimo album. Il singolo X-Offender è sicuramente il pezzo forte, ma ci sono anche l’aggressiva Rip Her To Shreds, In The Sun, Man Overboard e la ballad In The Flesh, a rendere interessante questo esordio discorgafico.

È stato quello un periodo ricco di avvenimenti per la band della Grande Mela, che in precedenza aveva sofferto la mancanza di una vera scena underground e di locali nei quali esibirsi. Deborah e compagni, infatti, sono comparsi nel documentario Blank Generation con il brano He Left Me, quindi hanno suonato per la prima volta in Europa con i Television e calcato i palcoscenici americani come spalla di Iggy Pop. L’immagine della Harry poi, ha iniziato ad apparire sempre più frequentemente sui media assumendo ben presto il ruolo di Sex Symbol e icona femminile, con la ragazza che ha recitato anche in un paio di pellicole del regista Amos Poe.


Dopo l’uscita di scena di Valentine, sostituito da Frank Infante, nel 1977 è stato rilasciato sul mercato Plastic Letters. Spinto dal singolo Denis, cover di un brano del 1963 di Randy and the Rainbows, il disco ha raggiunto la vetta della chart inglese: era la prima volta per un gruppo new-wave americano.
Altre tracce degne di menzione sono (I’m Always Touched by Your) Presence Dear, eredità lasciata da Valentine, Love at the Pier, I Didn’t Have the Nerve to Say No e I’m on E.

Nel 1978, dopo l’innesto nella line-up del bassista Nigel Harrison, che aveva suonato nella band dell’ex Doors Ray Manzarek, il gruppo ha creato quello che è unanimemente considerato il suo capolavoro: Parallel Lines. È con questo disco che i Blondie si sono fatti conoscere al grande pubblico, grazie ad un sound coinvolgente e raffinato, che strizza l’occhio al pop elettronico, sostenuto dall’esile voce della nuova musa del rock.
Il singolo Heart of Glass, forse il più conosciuto della band, è balzato al primo posto delle classifiche statunitensi. Ritmo ballabile e liriche semplici e assurde, hanno cementato il mito della bionda Debbie e del suo gruppo. Quindi le deliziose Hanging On The Telephone, Pictures This, Eat To The Beat e Autoamerican, la crudele Just Go Away, la delicata Sunday Girl e la grintosa One Way Or Another, la mia preferita.

Eat To The Beat, uscito l’anno successivo, prosegue sullo stesso stile di Parallel Lines, anche se è ritenuto inferiore. Singoli come Atomic, che finirà nella colonna sonora di Trainspotting ad opera degli Sleeper, Union City Blue e Dreaming sono volati in alto nella classifica. Molto belle pure le canzoni The Hardest Part e Slow Motion, anche se i miei favori vanno a Accidents Never Happen, scritta da Destri su un ritmo trascinante.

Il maggiore successo di quel periodo però, non compare nel disco di cui sopra, ma è stato scritto appositamente per il film American Gigolò, in collaborazione con il songwriter e produttore discografico di Ortisei Giorgio Moroder. Si tratta di Call Me, brano orecchiabile che è diventato in breve tempo il maggior successo di vendite dei Blondie ed ha consentito loro di entrare nei circuiti radiofonici e anche nelle discoteche.

Con il quinto album, Autoamerican, datato 1980, il sound dei newyorchesi ha compiuto una metamorfosi e si è adattato a nuove forme di sperimentazione. L’opening track Europa, ad esempio, è un pezzo strumentale con tanto di orchestra e, nel finale, la voce narrante di Debbie che declama un poema sull’importanza delle automobili nella società americana. Faces e Here’s Looking At You mostrano influenze jazz e blues, mentre The Tide Is High è una cover dei Paragons, gruppo giamaicano di Reggae e Ska degli anni ’60. Il brano migliore resta comunque Rapture, che combina elementi Funk, Rock, Jazz e Rap.

Nel 1982 è arrivato nei negozi The Hunter, un lavoro tiepido, che non ha prodotto brani di successo ed è rimasto escluso dalle zone alte della Hit Parade.
Un po’ per questo e un po’ perché i maschietti della band si sentivano, forse a ragione, messi in secondo piano dalla dirompente immagine mediatica di Deborah Harry, i Blondie si sono sciolti.

A quel punto i membri della band hanno intrapreso strade separate con alterne fortune. La stessa Debbie ha inciso qualche buon album a suo nome, ma non è mai riuscita a ripetere il successo ottenuto con il gruppo.

Nel 1988 è uscita la raccolta Once More Into The Bleach, contenente classici dei Blondie remixati e brani della Harry da solista.

Due anni più tardi il gruppo si è riunito in maniera ufficiosa per un tour con Ramones e Tom Tom Club, ma per vedere la vera e propria reunion si è dovuto attendere sino al 1997. I membri originali, hanno inciso nel 1999 l’album No Exit il quale, spinto dall’ottimo singolo Maria, è arrivato in alto nelle chart e ha rinverdito i fasti dei Blondie. Maria, dal canto suo, è arrivata al numero uno delle classifiche dei singoli, esattamente 20 anni dopo Heart Of Glass.
Della partita doveva essere anche Gary Valentine ma, pur avendo dato la propria disponibilità per la riunione e avere partecipato a qualche data on stage, il bassista è presente sull’album solo come compositore del brano Divine. Di conseguenza in formazione sono entrati il chitarrista Paul Carbonara e il bassista Leigh Foxx.

Dopo Livid, disco dal vivo del 2000, e un Greatest Hits l’anno successivo, nel 2003 i Blondie hanno registrato l’ottavo album da studio intitolato The Curse Of Blondie, con la medesima line-up del precedente.
Il lavoro riprende a sprazzi il vecchio sound del gruppo e propone diversi generi musicali, a partire dal rock di End To End e Last One In The World, per proseguire con brani più pop, tipo la bella Good Boys. Troviamo poi il reggae di Background Melody (The Only One), quindi il rap nella opening track Shakedown e sonorità jazz in Songs Of Love (For Richard). C’è infine un tributo al compianto Joe Ramone con la canzone Hello Joe.

Ad oggi l’ultimo LP rilasciato dai Blondie, tralasciando un paio di buone raccolte, è Live By Request, naturalmente dal vivo.
Il dicembre scorso la band ha realizzato il nuovo singolo We Three Kings, quindi è stato annunciato il titolo del nuovo album, Panic Of Girls, che dovrebbe arrivare nei negozi il prossimo settembre. Dalla formazione è uscito Carbonara, sostituito da Tommy Kessler.

In questi giorni il gruppo di New York sta intraprendendo un tour mondiale dove, oltre ai vecchi successi, sono proposti i brani del nuovo lavoro.
Per quanto ci è dato sapere quindi, il fascino di Deborah Harry e il sound dei Blondie continuerà ad ammaliare il pubblico ancora a lungo.

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3 risposte a “La grinta sensuale dei Blondie! E il punk è entrato in discoteca.”

  1. franco ha detto:

    sono i veri numeri 1!!!!

  2. MATTEO ha detto:

    è un fenomeno la sua musica

  3. cristiramone ha detto:

    grande voce grande gruppo anke se un po essenziale..