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I Kiss: il volto mascherato dell’Heavy Metal (I)

di Roberto Vanazzi 7 novembre 2012
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Qualcuno ha definito la musica dei Kiss uno scontato Heavy Metal, qualcun altro ha visto nel loro look una teatralità di cattivo gusto, così come per i trucchi usati in scena. Io non sono pienamente d’accordo. Per quanto riguarda la quarantennale carriera, il numero di dischi venduti, la quantità di hits lanciata sul mercato e il business che hanno saputo creare attorno alla loro immagine, i Kiss entrano di diritto in quella cerchia di band che hanno fatto e continuano a fare la storia più bella del rock. Con essi è nato il Glam Metal, quel genere di Heavy Metal in cui a farla da padrone non è il messaggio demoniaco e neppure l’impegno sociale, ma semplicemente la voglia di divertirsi: sesso e rock, come elementi cardine della vita.

Brani aggressivi ma dotati di un riff orecchiabile, ripetuto all’infinito per farlo entrare bene nel cervello, e un elaborato aspetto scenografico che, nonostante a volte sfociava nell’osceno, ha reso i loro spettacoli eventi cui non mancare: sono queste le basi su cui ha gettato le fondamenta il mito dei Kiss.

In principio…

In principio c’erano i Wicked Lester, gruppo hard rock nel quale militavano il bassista Gene Simmons (Chaim Weitz) e il chitarrista Paul Stanley (Stanley Harvey Eisen). Era il 1970 a New York e, visto lo scarso riscontro ottenuto, tutti i componenti tranne Gene e Paul hanno deciso di abbandonare l’avventura. I due non si sono persi d’animo e hanno rifondato la band chiamando in aiuto prima il batterista Peter Criss (Peter Criscoula) e in seguito il chitarrista Ace Frehely (Paul Daniel Frehely).

La storia riparte così nel 1972, durante i primi giorni del glitter rock. La band ha deciso di chiamarsi Kiss, Frehley ne ha disegnato il logo, quello con le due S a forma di fulmine che ancora oggi campeggia sulle t-shirt di mezzo pianeta, e ogni singolo membro ha adottato una maschera di scena, dipingendosi il volto a proprio piacere. Così Simmons è diventato il demone, Stanley il figlio delle stelle, Frehley l’uomo dello spazio e Criss il gatto. A completare il look, giubbotti borchiati e stivaloni con zeppe altissime.

I primi lavori

Aiutati dal manager Bill Aucoin, l’uomo forte della Casablanca Records (che ha creato anche le loro coreografie) all’inizio del 1974 i Kiss hanno pubblicato il primo, omonimo album. Caratterizzato da un suono piuttosto hard, anche se ancora acerbo, Kiss presenta alcuni pezzi interessanti, che resisteranno nel tempo; su tutte Strutter, Deuce, Kissin’ Time e Cold Gin.

Alla fine dello stesso anno è stato rilasciato Hotter Than Hell, un disco meno fortunato del primo, con un sound dalle tinte leggermente più fosche. I pezzi migliori, a mio parere, sono la title track, Let me Go Rock’n’Roll e, soprattutto Goin’ Blind, la prima rock ballad dei Kiss.

Nel 1975 ecco il terzo capitolo della saga, Dressed To Kill. Spinto da pezzi come l’inno corale Rock’n’Roll All Night, C’Mon And Love Me e Room Service, e grazie ad un suono meno ruvido, il disco ha venduto meglio dei precedenti e ha dato una spinta abbastanza forte al successo del gruppo. A quel punto, infatti, i Kiss hanno cominciato a guadagnare un notevole seguito di pubblico, merito di una mastodontica campagna promozionale e di incessanti tour, con concerti caratterizzati da pirotecnici trucchi di scena.

Il successo

Dopo i primi album la band ha ottenuto il meritato successo nel 1975 grazie al doppio LP dal vivo Alive, che è diventato Disco di Platino. A quel punto i Kiss hanno indirizzato la loro arte verso un sound più hard e il primo disco di questa svolta s’intitola Destroyer, datato 1976.

Il fatto strano, però, è che il lavoro ha ottenuto successo grazie al brano più dolce, Beth, una ballad con tanto di pianoforte e archi scritta da Peter Criss per la moglie, che si è posizionata al settimo posto della classifica americana. L’incredibile è che questa canzone è stata aggiunta all’album all’ultimo minuto, contro il volere di Simmons e Stanley che la ritenevano troppo diversa rispetto i canoni proposti dalla band. Destroyer, che è stato certificato anch’esso Disco di Platino, contiene alcuni dei pezzi più noti del quartetto newyorkese. Oltre a Beth, infatti, ci sono Detrot Rock City, la plumbea God Of Thunder, Shout It Out Loud e Flaming Youth.

Sempre nel 1976 è uscito anche Rock’n’Roll Over che, musicalmente parlando, segue le orme del predecessore. Anche in questo caso si ascoltano una manciata di canzoni entrate nella storia, come I Want You, Calling Dr.Love, Ladies Room e l’acustica Hard Luck Woman, cantata da Peter Criss.

Fino a quel momento i quattro ragazzi non si erano mai mostrati al pubblico senza maschera di scena, il che ha alimentato la loro fama e un grosso business attorno a essi, fatto di magliette, maschere, medaglioni e tutta quella mercanzia che faceva impazzire i metallari. Nel 1977 la Marvel Comics ha addirittura pubblicato un fumetto con i Kiss protagonisti. L’anno seguente è stata la volta di un cartone animato trasmesso dalla NBC, intitolato Kiss Meet The Phantom Of The Park.

Nel 1977 è uscito nei negozi Love Gun, che segue anch’esso il filone hard aperto da Destroyer. Questa volta le canzoni superstar sono Christine Sixteen, che affronta il tema dell’omosessualità, Shock Me, cantata da Ace Frehely, I Stole Your Love e la graffiante Love Gun.

Sempre nel ’77 i Kiss hanno pubblicato il secondo album dal vivo, Alive II, che è arrivato a conquistare tre Dischi di Platino. L’anno dopo i quattro membri hanno rilasciato contemporaneamente un album solista: tutti, caso più unico che raro, hanno raggiunto il Platino.

Come se questo non fosse sufficiente, questi terribili ragazzi sono riusciti a superare se stessi con Dynasty, il disco che li ha spinti a forza sul tetto del mondo, grazie, soprattutto, al singolo I Was Made For Lovin’ You. (custodisco gelosamente il 45 giri originale, con la copertina sgualcita e i solchi segnati per le centinaia di volte che hanno visto la puntina).

Dynasty è però sonoramente differente dagli ultimi lavori, in quanto ha parzialmente abbandonato l’hard rock per introdurre sonorità quasi da Discomusic. Da ascoltare oltre alla già citata I Was Made, anche Hard Times (lato B del 45 giri di cui sopra), Sure Know Something e Dirty Livin’. La mia preferita resta, ad ogni modo, Charisma.

Da segnalare che, nonostante le note di copertina riportano ancora Peter Criss, il batterista se n’era già andato a causa di divergenze musicali. Al suo posto sul disco ha suonato Anton Fig, mentre il sostituto ufficiale, che ha partecipato al Tour, è Eric Carr.  Criss ha suonato solo in Dirty Livin’.

 

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