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Pink Floyd: tutte le facce della luna

di Roberto Vanazzi 8 novembre 2010
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Prima dell’avvento del mp3 è capitato spesso che per ascoltare i miei autori preferiti tutti di un fiato, un po’ per divertimento e un po’ per necessita, ho dovuto fare le classiche raccolte con i brani migliori sfruttando i 90 minuti delle musicassette o gli 80 minuti dei CD. Per i Pink Floyd, però, questo mi è stato praticamente impossibile. Un quadro di Van Gogh è bello poiché tale. Se si pretende di costruire un collage con pezzi di più tele differenti ne uscirebbe un pastrocchio immondo. Lo stesso è per i Pink Floyd. Se si vuole apprezzare pienamente i dischi di questo gruppo straordinario bisogna ascoltarli nella loro interezza. Una raccolta, come può essere ad esempio Echoes, anche se ben costruita, non fa altro che disorientarmi.

Il bassista-cantante Roger Waters, il tastierista Richard Wright e il batterista Nick Mason hanno fondato nel lontano 1964 una blues band dal nome Sigma 6, trasformatasi poi in T-Set e in Abdabs. L’incontro con Roger “Syd” Barrett, geniale chitarrista dotato di una personalità fragilissima, ha cambiato però il loro percorso. Assunto il nome di Pink Floyd, derivato da due oscuri bluesman, Pink Anderson e Floyd Council, i quattro ragazzi di Cambridge (ma studenti universitari a Londra) hanno iniziato a proporre esibizioni in piccoli locali della capitale inglese, fra i quali il famoso UFO. Lì, sono stati notati da Peter Jenner e Andrew King, due manager dilettanti che ne hanno valutate le potenzialità e hanno suggerito loro di lasciare il blues per abbracciare il nuovo sound psichedelico. I Pink Floyd hanno seguito il consiglio e hanno iniziato a proporre lunghe improvvisazioni strumentali supportate da giochi di luci stroboscopiche, diventando così uno dei gruppi più originali e innovativi della scena musicale inglese.

Trovato un contratto con la EMI, i quattro ragazzi hanno inciso il loro primo singolo, la delicata Arnold Layne, stralunata storia di un travestito. Con il seguente See Emily Play, un nevrotico collage sonoro che mette in primo piano le acrobatiche doti compositive di Barrett, è stato toccato il vertice delle classifiche. Sull’onda del successo i Pink Floyd hanno registrato il primo LP, The Piper At The Gates Of Dawn, unanimemente considerato il manifesto della musica psichedelica inglese. Favola e viaggio lisergico, realtà e finzione si mescolano in questo lavoro, che ha come punto di forza l’opening track Astronomy Domine, uno dei più complessi e innovativi brani dell’intera produzione del gruppo, che racconta un viaggio interstellare di Syd sotto l’effetto dell’LSD. Quindi la jam session strumentale Interstellar Overdrive, la fiaba Matilda Mother, l’incalzante Lucifer Sam e la divertente Bike, che chiude il lavoro.

Sembrava l’inizio di una parabola ascendente per il gruppo londinese, ma esso ha fallito i singoli seguenti, Apples & Oranges e It Would Be So Nice, mentre il loro show “troppo sperimentale” ha finito per sconcertare il pubblico. Il problema della momentanea crisi, però, era un altro. Sino a quel momento il leader indiscusso della band era Barrett: autore di tutti i dieci brani di The Piper e dei primi due singoli, chitarrista di talento e carismatico artista da palcoscenico. Purtroppo l’abuso di droghe, unito alla fragilità psichica, si è manifestato presto nelle forme più scontate, come l’incostanza, lo squilibrio e l’incomprensibilità, esplose in tutta la loro gravità durante il tour in terra americana del 1968, risoltosi in un disastro. Syd ha dovuto lasciare i Pink Floyd per intraprendere una via Crucis di ospedali e cliniche psichiatriche, mentre i suoi compagni sono corsi ai ripari e hanno assunto un amico d’infanzia, David Glmour. Nello stesso periodo è stato cambiato anche il manager, che da quel momento, sino alla fine, è stato Steve O’Rourke.

Syd Barrett

La nuova line-up non ha rinunciato allo stile psichedelico anzi, con il nuovo album A Saucerful Of Secrets, del 1968, il sogno visionario sembrava addirittura amplificato. I brani, tutti incentrati sul tema della droga, portano la firma di Roger Waters, ormai punto focale della band, tranne Jungle Blues, allucinato testamento spirituale con il quale Barrett ha salutato i fans. L’ipnotica Let There Be More Light, la cosmica Set The Controls For The Heart Of The Sun, Remember A Day, Corporal Clegg e l’audace title track, simbolo dell’avanguardia psichedelica più stimolante, sono i brani entrati di prepotenza nella storia del rock.

L’anno seguente il regista francese Barbet Schroeder ha commissionato al gruppo la colonna sonora del suo film, More. L’album è di buon livello, ma è sempre stato considerato esterno alla discografia dei Pink Floyd proprio perché colonna sonora.

Sempre nel 1969 è stato registrato Ummagumma, documento della stagione più felice dei Pink Floyd. È un doppio album, metà dal vivo e metà da studio, nel quale si riscontra un tentativo da parte della band di uscire dall’underground vero e proprio per proporre un maggiore sviluppo culturale della loro opera. Il geniale intuito degli esordi ha lasciato in questo caso spazio a una professionalità dall’alto contenuto scientifico e sperimentale. Sul disco live spiccano le versioni di Astronomi Domine e Careful With That Axe, Eugene, metafora musicale di un viaggio da acido lisergico. Tra i nuovi brani, ricchi di trovate sonore, sono presenti 3 suites sinfoniche divise in più parti: Sysyphus, scritta da Wright mescolando la musica psichedelica alla classica, The Narrow Way, ad opera di Gilmour, e The Grand Vizier’s Garden, componimento strumentale di Nick Mason, con la batteria in primo piano. Roger Waters è l’autore dei due brani più corti, la delicata e acustica Grantchester Meadows e la sperimentale Several Species of Small Furry Animals Gathered Together in a Cave and Grooving with a Pict, composta soltanto da un insieme di suoni di animali, astrusi e sconclusionati, cui s’aggiunge ad un certo punto la voce narrante del bassista.


Nel 1970 Syd Barrett ha inciso due album da solista con l’aiuto dei suoi ex compagni, costituiti entrambi da affascinanti fiabe musicali, spettrali e allucinate. Dopo di allora, però, l’artista è scomparso dalle scene e dalla vita sociale, sempre più prigioniero di se stesso, diventando nel corso del tempo una figura quasi leggendaria.

Per quanto riguarda i Pink Floyd, il nuovo decennio è stato quello che li ha definitivamente consacrati maestri della psichedelia. Nuove idee e tanta energia hanno portato a costruire un album ambizioso e di notevole impatto quale Atom Heart Mother. La title track è una lunghissima suite strumentale di oltre 23 minuti, divisa in sei parti, con tanto di coro e orchestra e con un finale in crescendo degno di una sinfonia. A seguire tre ballate scritte da ognuno i membri della band, escluso Mason: If (Waters), Summer ’68 (Wright) e Fat Old Sun (Gilmour). Alla fine la stravagante Alan’s Psichedelic Breakfast, divisa in tre sezioni inframmezzate dai rumori di questo Alan che si muove in una cucina. Di notevole impatto la copertina, una mucca in mezzo ad un prato senza alcuna scritta, a indicare che il gruppo era ormai così famoso da non avere bisogno del nome per essere riconosciuto.

Atom Heart Mother

La stessa formula è stata proposta anche l’anno successivo con Meddle. Il disco, meno sinfonico e più orientato verso il rock rispetto il precedente, presenta un’opera lunghissima che, parlando di vinile, ricopriva l’intera seconda facciata. Si tratta della eterea Echoes, che inizia con l’eco di un sonar realizzato insistendo sulla stessa nota acuta di pianoforte. L’intermezzo corale, proprio al centro del brano, è stato realizzato inserendo due registratori a nastro in angoli opposti della stanza, dei quali uno ritardato per formare lo stridente effetto eco. Tra gli altri brani, il pezzo da novanta è la famosissima One Of These Days, opera strumentale di alta qualità. Molto belle anche A Pillow Of Sorrow e Fearless, con tanto di coro dei tifosi del Liverpool a cantare il loro inno You’ll Never Walk Alone.

Sempre nel ‘71 il gruppo ha suonato dal vivo tra le rovine di Pompei. Non c’era il pubblico, ma solo la troupe del regista Adrian Maben. Il lavoro è diventato un film, che in breve tempo si è trasformato in una delle visioni culto del rock.

L’anno seguente ancora una colonna sonora per il film La Vallée, sempre di Schroeder, intitolata Obscured By Clouds.

Il 1973 è l’anno di The Dark Side Of The Moon, il quale ha consacrato i Pink Floyd a star di livello mondiale. Esso non è solo il Disco (con la lettera maiuscola) più bello del quartetto inglese, ma fa parte di quell’esigua schiera di capolavori che sorreggono come pilastri il monumento rock. Uno di quelli che chiunque dice di amare la musica dovrebbe possedere. Dentro la famosa copertina con il prisma che sfaccetta la luce in mille colori, si trova un affascinante universo musicale che lascia senza fiato. Si tratta di una sorta di concept album sul tema dell’alienazione e della schizofrenia della società moderna. Ricco di effetti speciali, l’album si apre con il battito del cuore. Poi si parte con Speak To Me, intro di Breathe, canzone che parla della nascita e della fanciullezza. Segue la folle corsa di On The Run, a indicare l’ansia della vita moderna. Il tutto sfocia nel ticchettìo di un orologio e nella conseguente esplosione sonora di una serie di sveglie e pendoli, preludio della bellissima Time, la quale affronta il tema dell’invecchiare. La fine del brano equivale alla ripresa di Breathe. La morte è sviscerata in The Great Gig In The Sky, una melodia vocale senza testo, in stile gospel, con la voce di Clare Torry sopra il pianoforte di Wright. Per chi ha modo di ascoltare il vinile, il lato B è aperto da un registratore di cassa e il suono delle monete, che danno il via al famosissimo tempo in 7/4 del basso di Money, brano incentrato sul potere che ha il denaro sull’uomo. Circa a metà canzone c’è un assolo di sax suonato da Dick Parry. La ballad Us And Them è un attacco alle guerre. Anche in questo caso Dick Parry esegue uno struggente assolo con il suo magico sax. Il pezzo che segue è lo strumentale Any Colour You Like, ponte ideale tra il precedente e Brain Damage, dove si ascolta la voce di Syd Barret tratta da una vecchia registrazione. La canzone che chiude il capolavoro è Eclipse, che presenta alla fine ancora il battito cardiaco a chiudere il cerchio.

L’album ha battuto tutti i record di presenze nelle classifiche di Bilboard, rimanendovi per 14 anni, diventando così il disco con la permanenza più lunga nelle classifiche. Con i suoi 45 milioni di copie è anche il terzo più venduto della storia, dopo Thriller di Michael Jackson e Back In Black degli AC-DC. Una curiosità: il tecnico del suono era il mago Alan Parson, famoso negli anni ’80 con il suo Alan Parson’s Project.

The Dark Side Of The Moon

Nel suo irripetibile successo il disco ha portato i Pink Floyd ai vertici della popolarità mondiale. Di contro, però, la stessa fama ha causato qualche tipo di squilibrio psichico in Waters. Componendo i brani di The dark Side Of The Moon, il bassista ha riflettuto sulle proprie depressioni (che si ripercuoteranno anche nei lavori successivi), e farà della solitudine una scelta di vita non solo musicale.

Due anni più tardi il gruppo ha bissato il trionfo con Wish You Were Here. Nonostante sia ritenuto inferiore rispetto al disco con il prisma, esso contiene altre perle che sono entrate nella leggenda. L’album si apre con la splendida suite Shine On You Crazy Diamond, divisa in due parti, anche se in realtà sono nove, è dedicata all’amico Syd Barrett. Essa inizia con il mini moog di Wright a creare un’atmosfera rarefatta, base ideale per la stratocaster di Gilmour che propone un bellissimo assolo in stile blues. Questo s’interrompe sulle 4 note più famose del rock, SI bemolle-FA-SOL-MI, che si ripetono per l’intera sezione. Quindi un altro assolo di Gilmour. Più avanti la voce di Waters canta il suo tributo a Barrett, con Gilmour, Wright e una corista a creare armonia. Alla fine del cantato ritorna il sax di Dick Parry, già presente in The Dark Side Of The Moon, che porta a conclusione la prima parte (quinta, per l’esattezza) di Shine On You Crazy Diamond. Seguono la cupa Welcome To The Machine, critica al mondo dell’industria discografica, Have A Cigar, cantata dal folk-singer inglese Roy Harper, e la famosa title track. Quest’ultima inizia con una persona che cambia la frequenza di una vecchia radio sino a fermarsi sul refrain di chitarra di Wish You Were Here. Subito una seconda chitarra, più nitida, accompagna la prima e da inizio al brano, una ballata delicata che sfuma nel vento. Lo stesso vento, senza soluzione di continuità, accoglie il ritorno di Shine On Your Crazy Diamond, più cupa rispetto il pezzo iniziale grazie al ripercuotersi del basso di Waters, al quale si è unito un secondo basso suonato da Gilmour. La suite si chiude con un ulteriore tributo a Syd Barrett, ovvero la riproduzione della melodia di See Emily Play.

Nel 1977 è stato pubblicato Animals. Scritto interamente da Waters, fatto questo che ha iniziato a portare qualche crepa all’interno della band, esso incentrato su “la fattoria degli animali” di George Orwell, dove l’umanità è divisa in tre gruppi di animali: cani, pecore e maiali.  Il disco è il “più chitarristico” del gruppo sino a quel momento e presenta tre suites, la variegata Dogs, la blueseggiante Pigs (three different ones) e l’eterea Sheep, e due pennellate acustiche da 1 minuto e mezzo ad aprire e chiudere il disco, Pigs On The Wings, stessa trama musicale ma testo differente.
Per la foto di copertina era stato legato alle ciminiere di una centrale elettrica un gigantesco maiale gonfiato a elio (che è poi diventato l’emblema della band durante l’imponente tour), il quale a un certo punto ha rotto gli ormeggi ed è volato nel cielo di Londra creando qualche problema agli aerei di passaggio.

The Wall, registrato nel 1979, è un’altra opera omnia del rock. Si tratta di un nevrotico concept-album che ha segnato l’ultima importante tappa del gruppo inglese. È un doppio LP impregnato di visioni pessimistiche e atmosfere opprimenti, che ha saputo combinare gli ultimi scampoli della musica psichedelica con incubi di una giovinezza devastata. La storia è incentrata su un personaggio chiamato Pink, che, a causa di una serie di traumi, quali la perdita del padre in guerra, l’autorità degli insegnanti, l’iperprotettività della madre e, più avanti, i tradimenti di sua moglie, è finito per costruirsi un muro mentale che l’ha isolato dalla società.

Strutturalmente parlando, dopo molto tempo non è presente alcuna suite di lunghe dimensioni. I brani spaziano da ballate delicate, Nobody Home, Mother, Hey You, Confortably Numb (che con i suoi 6 minuti e mezzo è il più lungo dell’album) e Vera, a pezzi più rock, quali In The Flesh, la famosissima Another Brick In The Wall (divisa in 3 parti), Young Lust e Run Like Hell.

Il tour che ne è seguito è stato qualche cosa di mostruoso. Un muro di oltre dieci metri d’altezza era innalzato durante lo svolgimento dei brani e alla fine, una volta ultimato, nascondeva i quattro musicisti al pubblico. Oltre a questo sul palco si alternavano automobili, comparse e anche un elicottero. Nel 1982 Alan Parker ha fatto di The Wall il soggetto per un suo film, in parte animato e in parte interpretato da attori, con Bob Geldoff protagonista.


A quel punto, però, Mason, Gilmour e Wright si sono trovati in pieno disaccordo con un Waters sempre più autoritario,  tanto che nel giugno 1981, dopo sole tre date del tour, hanno chiuso le attività live esibendosi l’ultima volta all’Earl Court di Londra.
Nel 1983, invece, è stata interrotta anche l’avventura discografica con The Final Cut. Già dal titolo si capiva che i Pink Floyd erano ormai alla fine. Girando poi il disco per leggere le note di copertina, si appurava che Richard Wright non era più della partita. Già in The Wall il tastierista aveva avuto un ruolo marginale e un litigio con Waters aveva portato anche al suo licenziamento, tant’è che nella tournée egli era presente solo come session man.

Per quanto riguarda l’album, esso è la trasposizione musicale dell’incubo di Waters, pervaso, come già nel precedente, dell’ombra del padre morto in guerra ad Anzio. Lavoro malinconico, con la voce del bassista spesso sussurrata e accompagnata solo dal pianoforte o dall’orchestra, trova i propri punti di forza in brani quali The Fletcher Memorial Home, The Gunner’s Dream, storia di un aviatore che, colpito irrimediabilmente, mentre precipita ricorda la sua vita e i suoi sogni infranti e, soprattutto, Not Now John, il più rock dell’intero disco. I consensi ottenuti sono stati piuttosto tiepidi; critica e fans hanno, infatti, bollato The Final Cut come “album solista” di Waters.

Nel 1984 i Pink Floyd non esistevano più e i vari elementi avevano ormai intrapreso carriere soliste più o meno fortunate. Nessuno di loro, però, si è avvicinato anche minimamente all’antico splendore, per questo non ha sorpreso più di tanto quando Gilmour, Wright e Mason hanno deciso di rifondare la band. I tre si sono scontrati con il secco rifiuto di Waters, il quale si è opposto anche a cedere loro l’uso del nome. Dopo qualche battaglia legale, il tribunale ha dato torto al bassista e concesso agli altri di potere utilizzare la sigla Pink Floyd.

Il tutto è sfociato nel 1987 in un nuovo disco: A Momentary Laps Of Reason. L’Album è piacevole, molto pop e meno acustico, sicuramente orecchiabile e lontano mille miglia dalla buia disperazione dei lavori targati Waters. Esso è costruito sulla falsariga dei vecchi classici, con tanto di cover surreale e atmosfere oniriche e maestose. Tutti i brani sono di Gilmour, ormai leader della band, mentre i testi sono stati scritti da parolieri esterni il gruppo. Anche Wrigth ha lavorato come elemento esterno, ma la sua presenza si sente eccome.
Learning To Fly, la ballad On The Turning Away, la marziale Dogs Of War, One Slip, Sorrow, non fanno rimpiangere più di tanto il passato.

Il successo ha portato il trio nuovamente on the road per tutto il 1988, affrontando un tour che è sfociato nel doppio live Delicate Sound Of Thunder. Sul disco uno, Shine On You Crazy Diamond a parte, si trovano tutti brani di Momentary Laps Of Reason, mentre il disco due ripropone i successi del passato. C’è anche da dire che era dai tempi di Ummagumma che la band londinese non rilasciava un album dal vivo.
L’anno seguente i Pink Floyd si sono esibiti tra mille polemiche a Venezia, in un concerto gratuito che ha attirato migliaia di persone in San Marco, mentre gli artisti si esibivano su un palco galleggiante antistante la piazza.

Nel 1994 il gruppo ha pubblicato il suo ultimo LP da studio: The Division Bell, con Wright era ormai tornato in pianta stabile nella line up. Come il precedente, anche in questo lavoro si nota l’impronta di Gilmour e, sempre come il precedente, anche The Division Bell ha ottenuto buoni consensi. La track list presenta brani degni del passato quali High Hopes, Polen Apart, dedicata a Syd Barrett, la dolce Marooned, Coming Back To Life e Keep Talking.

A seguito del tour per promuovere l’album, nel 1995 è stato pubblicato il doppio live P.U.L.S.E. Poi, tra Antologie e The Best Of 8la più famosa è la già citata Echoes) il mito dei Pink Floyd è stato tenuto in vita sino ai nostri giorni.

il 2 luglio 2005 Gilmour, Wright e Mason si sono riuniti a Roger Waters per suonare al Live 8, a Londra, esattamente 24 anni dopo l’ultimo concerto insieme. In scaletta c’erano Breathe (compresa la reprise), Money, Comfortably Numb e Wish You Were Here.

I Pink Floyd al Live 8 nel 2005

Purtroppo, il 7 luglio 2006 è morto Syd Barrett a seguito di un tumore al pancreas; aveva 60 anni. Il 15 settembre di due anni dopo, invece, è scomparso Richard Wright, dopo avere lottato anch’egli contro il cancro.

Per chi desidera ritrovare qualche reminiscenza floydiana consiglio di ascoltare On An Island, ultimo lavoro solista di David Gilmour. Datato 2006, ha visto anche la partecipazione come ospite di Richard Wright, il quale ci ha lasciato pochi mesi dopo la pubblicazione dell’album.

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2 risposte a “Pink Floyd: tutte le facce della luna”

  1. Linda ha detto:

    Veramente un bel articolo, complimenti!! Sarà forse anche merito del soggetto?!?

  2. cek ha detto:

    unici,inarrivabili,peccato per gli screzi tra loro.Band irraggiungibile paragonabile ai beatles,per loro(e pochi altri)un solo aggettivo:MITICI